domenica 2 agosto 2015

Alla riscoperta della città. ITINERARIO DEROBERTIANO Milazzo

Pippo Geraci
CAMMINARE PER CONOSCERE : ITINERARIO DEROBERTIANO 
Venerdì 31 Luglio – partenza ore 19.30 - ITINERARIO DEROBERTIANO 
(1° parte) – (Partenza dalla Casa Bonaccorsi nella Marina Garibaldi a Villa Calcagno al Capo). 


Pina legge qualche riga del romanzo, di fronte al pal. Bonaccorsi

LA MARINA
....D'inverno, quando spuntavano le brutte giornate, essa appariva tutta piena di bastimenti: flotte di trenta, di cinquanta legni obbligati a rifugiarsi in quel gran bacino, con le vele ammainate, e sballottati nondimeno dalle onde in convulsione che si rovesciavano sul passeggio della marina, arrivavano fin sotto le case e lasciavano, ritirandosi, un letto d'alghe secche, di sugheri, d'ogni sorta di detriti. In quei giorni, la spopolata città era più deserta del solito; di sera non usciva nessuno, la fila dei lampioni si rifletteva sul suolo bagnato e l'oscurità pareva più fitta.
Poi, una bella mattina, col sole, col cielo azzurro, col mare tranquillo, non si vedeva più un bastimento nella rada: erano tutti spariti, partiti, chi da levante, chi da ponente, per Messina, per Palermo, per Napoli, per tutti i paesi più grandi, più ricchi e più belli.
Ella si alzava, fremente d'emozione, e se n'andava alla finestra, guardando il mare e le montagne di Gesso, violacee nella lontananza.

SECONDA PARTE
(…)Triste autunno, passato nella solitudine, nell'evocazione dolorosa di una gioconda stagione. Fu una sera fredda e piovosa, passata col suo notaio che era venuto a parlarle di certi contratti: sul punto di andarsene, egli cominciò a riferirle le notizie cittadine, i casi della gente, dei quali era sempre informato pel primo.
- Gli Squillace sono partiti, pel continente... Staranno un pezzo; pare anzi che vogliano stabilirsi fuori...
Ella non udì altro, non vide l'uomo andar via: si trovò dinanzi alla finestra, con la fronte sul vetro freddo e rigato dalla pioggia.

Il mare era formidabile, cingeva la riva d'una corona di spuma; la luna correva impazzata tra le nuvole rotte, proiettava la sua luce scialba sulla cresta dei cavalloni e l'orizzonte si perdeva in un buio fitto di nebbia... Un sogno svanito, l'ultima lusinga distrutta. Il vento fischiava, spazzava la via, faceva oscillare le fiamme dei lampioni; non un passante, non un segno di vita; solo la voce sorda, il cupo rombo del mare... Addio! Addio! per sempre!... Non era lui soltanto che spariva: era la speranza, la lusinga, tutto ciò che aveva dato un prezzo alla vita e che non sarebbe tornato mai, mai più!.. Che freddo! che gemiti nell'aria, che schianto nel cuore!... Il suo pianto non cessava; ella non aveva la forza di togliersi di lì, le pareva che un'oppressione mortale l'avrebbe soffocata fuor della vista della tempesta: avrebbe voluto correre lungo la riva fragorosa, mescolare agli urli degli elementi l'urlo della sua disperazione... Il rumor d'un passo la fece trasalire ad un tratto; era Stefana che le si appressava, trascinandosi penosamente per domandarle:
- Hai nulla?... che hai?...
- Nulla... lasciami!... Non ho nulla; va a letto.
Tornava ad appoggiar la fronte sul vetro, rabbrividendo. Allora, la storia della sua vita le ripassava tutta sotto gli occhi; ella rivedeva le figure di quelli che s'erano trovati sul suo cammino, Tratto tratto, delle persuasioni si facevano nel suo spirito; come lampi, delle verità l'abbagliavano. Aveva aspettato troppo grandi cose, per questo tutto l'aveva scontentata! Nel credersi diversa dagli altri come s'era ingannata! La sua storia era la storia d'ognuno! Come tutti, aveva apprezzato le cose prima di ottenerle o quando eran svanite. In ogni periodo della sua esistenza, aveva tutt'in una volta rimpianto il passato e riposte le sue speranze nell'avvenire! Nondimeno, dei giorni felici erano sorti per lei; ma la felicità dileguata era un nuovo motivo di cruccio!... Uno solo di quei giorni tramontati poteva forse risorgere? Che cosa non avrebbe dato perchè anche i tristi tornassero? Ma tutto era scomparso per sempre!...
Quante volte l'ingrata realtà le si era svelata? Ed aveva accolto sempre nuove lusinghe! Quante volte aveva creduto di conoscere la vita? E l'esperienza passata era stata inutile, ed a costo di lacrime aveva ricevute nuove lezioni inutili anch'esse!... Ora però che chiudeva gli occhi e si volgeva indietro col pensiero riconosceva la gran vanità.
La tempesta non si placava, il freddo si faceva più acuto: che notte!... che notte!... Ancora un rumor di passi strascicato, e Stefana tornava a chiederle, premurosa ed inquieta:
- Perchè non vai a letto?.. È mezzanotte suonata....
- Adesso... più tardi; lasciami, non vedi che soffro?...
Ella andava ora di su e di giù per la stanza, si lasciava ogni tanto cadere sopra una seggiola; poi scattava in piedi, insofferente dell'immobilità.

Le ore passavano, ella non le avvertiva; le pareva che quella notte durasse da un'eternità, che non avrebbe avuto mai fine. A scatti, ella rialzava il capo, guardava attonita dinanzi a sè; poi tornava ad abbattersi....


Si sale verso il capo

Si va verso "Villa Ella"

Una piccola sosta e Pina legge altre righe del romanzo di De Roberto...

LA ROCCA
....Si andava anche al Capo, in carrozza: una via che si svolgeva come un nastro fra le vigne e gli uliveti, col mare a destra e a sinistra, fino alla casa bianca della Lanterna, da cui si vedevano tutte le altre isole dell'arcipelago che da San Papino non si potevano scorgere - dei buchi scuri all'orizzonte - e le onde che mordevano le basi della roccia. Quella era una via che facevano spesso, in autunno e in primavera, perché lì, al Capo, c'era la Rocca, una proprietà del nonno, con la casina di villeggiatura, dove il dottor Russo li mandava per la mamma e per Lauretta che aveva sempre qualche cosa: o la tosse, o le glandole gonfie, o degli sfoghi sulla pelle, tanto che bisognava sempre misurarle delle cucchiaiate di sciroppi, delle prese di ferro, dei mezzi bicchieri di misture.
(…) La piccina (Laura) sopportava tutto in pace, senza lagnarsi, obbedendo in ogni cosa, non trascurando per questo le sue lezioni, levandosi sempre alla stessa ora, malgrado il permesso accordatole dal nonno di restare a letto un poco più a lungo, ma, alla proposta di uno svago, rispondeva che per conto suo preferiva restare in casa, (…) e Teresa entrava in una sorda irritazione, e a voce bassa, concitata, la colmava per tutto un giorno di male parole, (…) Il nonno le rimproverava il suo egoismo, non voleva lasciarla andar sola; allora la mamma intercedeva per lei; bastava che gli dicesse una sola parola per ottenerle tutto. Se anche gli avesse detto di buttarsi dal Castello, lui si sarebbe buttato.
Era matto per quella figliuola; bisognava vederlo quando la sua malattia s'aggravava: tutto il giorno accanto a lei, a curarla, a cercare di svagarla. Teresa aveva capito che quella malattia era una malattia prodotta dai dispiaceri: per questo credeva che fosse una cosa da nulla. Però la mamma era molto patita, mangiava pochissimo, non si fidava di far nulla, tante volte restava a letto intere giornate. Dopo un pezzo arrivò anche la zia Carlotta da Palermo, con suo marito; ma non fu neppur quella una festa; avevano tutti una cera così triste! Solo la mamma, dal fondo del suo letto, sorrideva al suo babbo ed alle sue figlie
Un giorno, mentre facevano colazione, la zia Carlotta venne a dire a Miss di vestir le bambine.
- Perchè, zia?... Dove si va?
La zia non rispose, ma il cocchiere aveva già attaccato: si andava al Capo. Veniva anche la mamma?
Prima d'andar via, le condussero nella camera dell'ammalata, che riposava, cogli occhi socchiusi; il nonno e la monaca stavano ai due lati del capezzale; la zia Carlotta teneva la fronte appoggiata alla spalliera del letto.
Ella sentì sollevarsi per le ascelle dallo zio, che disse:
“Bambina, bacia la mano a tua madre”
(…) Era una giornata bella quanto mai, con un'aria così chiara che, dalla terrazza, Stromboli e Panaria quasi si toccavano con mano, ed anche il piccolo scoglio di Basiluzzo si scorgeva come un sassolino in mezzo al mare. Giù in giardino c'era un gran caldo e un gran silenzio; s'udiva il ronzare degli insetti che pareva il mormorio d'un discorso lontano. Sul tardi arrivò il portiere da Milazzo; appena lo vide apparire dietro il cancello, gli gridò:
- Vengono gli altri? Come sta la mamma?
Il portiere rispose soltanto, alzando un braccio, con una voce di spavento:
- Signorina!... Signorina!... - ed entrò correndo.
Allora lei comprese una cosa: che la sua mamma moriva. Non chiamò gente, non si mise nulla in capo: così com'era, uscì dal giardino per tornarsene in città. Avrebbe trovata la via, bastava andar sempre diritto, fino al Castello; di lì sarebbe scesa subito a casa.
La polvere che sollevavano le sue scarpe l'acciecava, due contadine che si tiravano dietro un asino carico di legna si fermarono a guardarla.
Il  nonno fece venire un dottore da Messina. Fu ordinato il mutamento d'aria, e subito tutti partirono per il Capo. La mattina, prima che l'aria s'infuocasse, l'inferma scendeva in giardino a braccio della sorella; faceva un po' di moto, a piccoli passi, fermandosi spesso. Poi si metteva a sedere, sotto l'ombrello, ed ella le coglieva dei fiori, glie li faceva piovere in grembo.
Una mattina, presto, si alzò un poco, ma non potè scendere in giardino per il tempo che minacciava. Quando si rimise a letto, cominciò la pioggia, scrosciante; fu una burrasca di corta durata. Al tramonto, il sole brillava fra le nuvole squarciate, e Lauretta, serena, sorridente, ascoltava i progetti che facevano per l'avvenire. Sarebbero tornati a Milazzo, con l'autunno che s'avanzava; al Capo non c'era più ragione di restare.
Calò la sera, mentre ancora facevano progetti.
La luce della lampada infastidiva un poco Laura. Sollevatasi, disse alla sorella:
- Teresa, coglimi dei fiori...
- Subito, sorellina!
Ella scese in giardino. Dalle piante, tutte bagnate dalla pioggia recente, esalava un profumo intenso, acutissimo. Sorgeva la luna, tra nuvolette d'oro, e la luce d'argento bagnava tutto quel verde scuro, umido e stillante. Disteso con una mano il grembiale, lei cominciò a farvi piovere i gelsomini che spiccava con la destra. Ne era quasi pieno, ma ne coglieva ancora, voleva coglierne ancora più; voleva seppellire la sorellina sotto la nevicata odorosa. Di repente s'udì un grido terribile. Ella tremò da capo a piedi, lasciò cadere i fiori, incrociò le mani sul petto. Un altro grido, dei rumori confusi. Allora ella cominciò a correre disperatamente verso casa, e nella corsa vide una finestra schiudersi, il nonno uscire sulla terrazza, alzare le braccia minacciose al cielo. Prese un nuovo slancio, salì a precipizio la scalinata, traversò come un lampo le stanze e s'arrestò sull'uscio. Intravvide una forma rigida sul letto, una gran macchia di sangue, e s'intese spingere indietro.

La carrozza partì. Rannicchiata in un angolo, accanto al babbo, ella soffocava i singhiozzi che le salivano alla gola. Cogli occhi sbarrati sulla via polverosa che pareva scorrere come un fiume,
La campagna era chiara come all'alba; il riflesso della luna tremolava sul mare, e la via non finiva più, quella via fatta tante volte, con la gaiezza in cuore, insieme con la sorellina morta, con la mamma morta...
Adesso entravano nella città addormentata, silenziosa; le mura del castello, enormi, tagliate dalla luna, correvano, sparivano; ed a casa la desolazione cresceva, dinanzi al letto vuoto della sparita, dinanzi a tutti i piccoli oggetti che le erano appartenuti, sui quali ella metteva dei baci disperati...-

Al rientro non ci facciamo mancare questo spettacolo..
e si è fatto buio..


Sabato 1 Agosto 2015 – ore 08.00 - ITINERARIO DEROBERTIANO
 (2° parte) –- (Partenza dalla sede di AMA Camminare in Sintonia Milazzo alle ore 8.00 a Villa Proto a Gelso).* 

visita della villa

Un altro pezzo tratto dal romanzo
GELSO
...Il nonno era adesso più buono di prima, riversava il suo affetto sulle nipotine, le conduceva ogni giorno con sè, in campagna, al Gelso, una gran proprietà comprata da poco, nella pianura, dove piantava un vigneto. Quando fu pronto il villino che aveva fatto costruire sul palmento, andarono lì invece che al Capo. Fu così allegra la prima vendemmia: tanta gente che andava e veniva ogni giorno, i grandi fuochi che accendevano sull'imbrunire, i canti e i balli delle contadine!
Vicino a quella loro proprietà, ce n'era una dei Giuntini, che avevano una figliuola, Bianca. Com'era bella! Alta quanto una signorina, coi capelli più neri dell'inchiostro, il viso pallido, gli occhi profondi! Ella sentiva battere il suo cuore più forte al solo vederla, le stava dinanzi con una secreta soggezione, provava per lei lo stesso turbamento che rammentava di aver provato, a Firenze, pel conte Rossi. In breve divenne sua amica, e l'imitava nel modo di parlare e di muoversi. La prima volta che la baciò in viso si sentì tutta rimescolare. Di ritorno a Milazzo, nel vederla con altre, credeva d'esser trascurata da lei; allora le si mostrava fredda, faceva la sostenuta; ma appena l'amica la prendeva per mano, il suo rigore finiva.

(…) Per la vendemmia, andò a Gelso. I Giuntini, i suoi antichi vicini, avevano subìto dei rovesci; la proprietà, venduta all'asta, era passata in mano del barone Squillace. Dei rapporti di vicinato cominciarono a stabilirsi; a poco a poco diventarono intimi. La famiglia si componeva del barone, della baronessa e d'una sorella di questa. Ogni sera, quando cessava il lavoro e l'aria si rinfrescava, s'incontravano sul confine dei poderi e passeggiavano un pezzo insieme. Ascoltava compiacentemente le lodi che tessevano dell'unico figliuolo Maurizio. Viaggiava in quel tempo, col conte Marulli di Messina; arrivavano dalla Germania, dall'Inghilterra, le sue lettere e una fotografia del giovanetto, fatta a Parigi; una figura graziosa, gentile, minuta, dagli occhi profondi, dal labbro appena ombreggiato da una fine peluria. Aveva vent'anni, le donne esaltavano la sua intelligenza e la sua bontà. Sul principio dell'inverno, quando tutti erano rientrati a Milazzo, egli tornò. Era più grazioso e più gentile di quel che non mostrasse il ritratto, ma un fanciullo ancora. Ella lo guardava con una tenera simpatia.
Una sera, a un battesimo in casa D'Arrico, dov'ella aveva portata, dopo tanto tempo, una toletta che la favoriva, s'accorse che egli la guardava da lontano, in atto di estatica ammirazione; come lo sguardo di lei lo sorprese, parve avvampare in viso.
Più degli elogi che la gente le prodigava pel suo gusto, per la sua eleganza, quel muto omaggio le procurava un gradimento sottile ma lungo, persistente, rinnovato a misura che quell'estatica espressione tornava a dipingersi sul volto del giovanetto. Di tratto in tratto, ma con una frequenza sempre maggiore, ella si sorprendeva in atto di pensare a lui, al turbamento che aveva dovuto produrre nella sua vergine fantasia. Per quel fanciullo che pena s'affacciava alla vita, che non aveva paragoni da istituire, ella personificava la seduzione; ma benchè sapesse quanto piccolo fosse il proprio merito, non poteva sottrarsi all'intimo contento che quell'omaggio le procurava.  Era una vanità innocente; il pensiero di spiegare l'istinto della civetteria era tanto lontano da lei! Con un fanciullo! con chi poteva esser suo figlio!...
(…) In primavera, andò ancora al Gelso. La famiglia, di lui tornò ad esserle vicina, si riprese l'intimità della passata stagione. Si vedevano ogni giorno, spesso più d'una volta in uno stesso giorno: la vita libera della campagna stringeva la loro confidenza. Le sere che ella andava a trovare i vicini, essi la riaccompagnavano a casa; talvolta, quando le donne erano stanche e i reumi tormentavano più fortemente il barone, veniva Maurizio solo.
Un silenzio misterioso regnava sui campi addormentati, rotto ad ora ad ora da un lontano latrare di cani, dal primo stridore delle cicale, delle modulazioni d'uno zufolo. Sull'orlo dei fossati, fra le erbe che cominciavano a ingiallire, s'accendevano i fuochi pallidi e freddi delle prime lucciole, e i profumi delle piante aromali, della menta, del rosmarino, del fior d'arancio, si diffondevano nell'aria dolce e molle.
Tutte le volte che la accompagnava, ella lo invitava a lasciarla dinanzi al cancello, dove il fattore l'aspettava attorniato dai cani saltellanti; ma egli mormorava:
- Se mi manda via...
- Ma no, tutt'altro!... dico per voi che dovete tornare indietro
Dinanzi alla fontana, ella reiterava il suo invito; ma il giovane insisteva per accompagnarla ancora, fin quando, ai piedi della scala della terrazza, come dinanzi ad una soglia vietata, ella diceva risolutamente, tendendogli una mano:
-            Adesso, addio!
Una volta, aprendo un libro che egli le aveva mandato, dei petali di rosa le caddero in grembo... Egli l'amava! quei fiori erano stati sfogliati per lei, per dirle ciò che il labbro non osava.
 Nessuno dei due faceva un accenno a quella corrispondenza indiretta; ma un imbarazzo sempre più grande li vinceva entrambi. Un giorno, repentinamente, i suoi vicini annunziarono che tornavano in città: una freddezza insolita era nell'accoglienza che le facevano; Maurizio aveva gli occhi rossi, come se avesse pianto.
Lo portavano via; si erano accorti di qualche cosa e lo sottraevano al pericolo d'una passione per una donna come lei! E ad un tratto, non vedendolo più, ella si nascondeva il viso tra le mani, atterrita dalla verità che non poteva più rifiutare di conoscere: ella lo amava!...


rientro a Santo Pietro...

Foto di Pippo Geraci

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